Elogio al Tabarro

Discendente dell'antica toga romana, il tabarro è uno dei soprabiti più eleganti che l'eleganza classica ci ha tramandato. Durante la sua lunga storia, il tabarro ha subito molte modifiche, ma è rimasto inalterato in quei tre elementi fondamentali, che lo contraddistinguono da un comune mantello: il taglio vivo, l'unica cucitura sulla schiena e la presenza del colletto.

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La storia

La storia di questo affascinante capo d'abbigliamento, si perde nell'antichità. È quasi certo sia un discendente dell'antica toga romana, usata dai senatori e dai patrizi.
Un antenato del tabarro compare, poi, nel Medioevo: infatti, questo tipo di indumento veniva usato dai cavalieri nelle loro investiture e pare che anche lo stesso Carlo Magno ne fece uso. Si dice che il sovrano, preoccupato per il forziere del suo Regno, decise di usare un tabarro povero, senza abbellimenti di alcun tipo, relegando solo alle occasioni più solenni, la versione con gli alamari dorati.

Successivamente, durante il XIV secolo, il tabarro si diffuse grandemente nelle regioni settentrionali della penisola italiana, in particolare nella Repubblica Serenissima. A Venezia il tabarro ebbe un largo successo, tanto da venire usato da tutte le classi sociali della popolazione, perfino dai più poveri, che portavano tabarri più corti e meno eleganti rispetto ai lunghi mantelli pregiati indossati dalle classi aristocratiche. Nel corso dei secoli seguenti, infatti, il termine tabarro potrà riferirsi sia al classico mantello lungo, sia ad una giacchetta più corta aperta sul davanti.
Con il Rinascimento il tabarro entrerà in disuso, per tornare poi in voga nel corso del 1700, quando compariranno moltissimi modelli: a mezza o a piena ruota, corti o lunghi, di panno o di velluto ecc. Durante l'inverno, si prediligevano i colori scuri, quali il nero o il grigio scuro, mentre d'estate i colori del tabarro erano il blu o il bianco.

Il tabarro iniziò ad essere indossato insieme ad alcune maschere, come la bauta o la larva, al fine di mantenere l'animato.
La bauta è forse la più famosa tra le maschere veneziane. È caratterizzata dal labbro superiore deformato ed allungato in modo da deformare anche la voce di chi la indossa, per non farsi riconoscere. La conformazione della maschera permette anche di bere e mangiare, senza essere tolta, questo per mantenere il totale anonimato. Il tabarro, abbinato a questa maschera, divenne pertanto un simbolo di mistero.

Bauta

Con la Rivoluzione Francese il tabarro sembrò destinato a scomparire, ma venne salvato dalla cultura Romantica.
Durante il XX secolo il tabarro ritornò simbolo di nobiltà ed eleganza e venne usato anche presso la società contadina in una variante, che veniva detta tabarrino, più corta. Il tabarrino venne usato anche durante la Grande Guerra dalle truppe al fronte, per poi divenire parte della divisa militare.

Re Vittorio Emanuele III indossa il tabarro

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il tabarro cadde in disuso e si sarebbe certamente dimenticato se l'imprenditore tessile Sandro Zara, il fondatore del Tabarrificio Veneto, non avesse recuperato questo capo e non lo avesse rilanciato sul mercato durante gli anni Sessanta e Settanta.


Sandro Zara, fondatore del Tabarrificio Veneto

Le caratteristiche del tabarro

Il tabarro era, una volta, un indumento comune, che doveva assolvere a funzioni pratiche, ovvero riparare dal freddo e dalla pioggia chi lo indossava. Lo stesso tessuto del tabarro è caratterizzato da una grammatura pesante e impermeabile, mentre l'armatura è a corda rotta.
Il tabarro deve essere a taglio vivo, perché se bordato al fondo diviene una mantella.
Altra caratteristica importante del tabarro è la ruota intera. Per fare un tabarro serio, infatti, sono necessari ben sei metri di tessuto, tagliati in coppia e uniti mediante un'unica cucitura che passa lungo la schiena.
Realizzati con lana filata e cardata, i tessuti del Tabarrifico Veneto sono il frutto di lunghe ricerche e studi che recuperano trama e ordito nei capitolati delle antiche filature.

Il tabarro nella cultura popolare

Il tabarro compare in numerosi libri e film, tra i quali in quelli di Guareschi nei quali si legge che: Don Camillo, preso il pesante tabarro, se ne avvolse e inforcò la bicicletta: questo dettaglio ci permette di capire come il tabarro fosse di uso quotidiano.

Il tabarro è, inoltre, il titolo di un'opera di Giacomo Puccini.

Locandina dell'opera


Alcune foto (Copyright Young Gentlemen's Club)



F.M.C.

Link utili:
http://tabarro.it/

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Bibliografia:
http://tabarro.it/tabarro/
http://tabarro.it/guide/#guida
Libro: Tabarro, storia di cavalieri, dame e sognatori

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